Manuale GHP per le torrefazioni
Molte associazioni del comparto Agroalimentare hanno elaborato dei Manuali di corretta prassi igienica specifici per ogni ambito produttivo che sono stati validati dal Ministero della Salute con il supporto dell’Istituto Superiore di Sanità. Questi documenti, la cui adozione volontaria viene promossa dall’articolo 1 del Regolamento 852/2004, facilitano gli operatori del settore nell’osservanza degli obblighi normativi in materia di igiene.
A sottolineare la specificità dei manuali elaborati fino ad oggi, ne sono stati redatti circa 120, diretti a tutti i protagonisti della filiera agroalimentare, dalla produzione primaria, quali possono essere gli allevatori, alla distribuzione, come le aziende che si occupano di somministrazione a mezzo di distributori automatici di alimenti.
Analizziamo ora il manuale specifico per i produttori e i confezionatori di caffè torrefatto o solubile, sviluppato dall’ Associazione Nazionale Torrefattori di caffè (ANT) nel maggio 2009.
Il documento prevede una parte introduttiva in cui si determinano: il campo di applicazione e gli utilizzatori del manuale; il prodotto trattato dall’azienda che adotta il manuale; i possibili fattori di contaminazione; le caratteristiche delle materie prime usate e il modo di utilizzo del prodotto finale.
Segue poi una parte generale sui requisiti delle strutture, delle attrezzature, sulla gestione dei rifiuti, sul rifornimento idrico, sull’igiene del personale, su confezionamento e imballaggio del prodotto finito e sulla formazione del personale, che oltre ad aver seguito corsi HACCP deve essere perfettamente addestrato all’esecuzione delle proprie mansioni nella specifica realtà aziendale.
Infine vi è un’ultima parte in cui si esamina tutto il processo produttivo, dalla ricezione delle materie prime al confezionamento del prodotto finito, e si analizzano i punti critici alla luce dei principi del sistema HACCP.
Per quanto riguarda i fattori di contaminazione nel Manuale ne vengono identificate tre tipologie differenti: biologica, chimica e particellare.
All’interno delle contaminazioni biologiche vengono considerati solo insetti, roditori e muffe ma non batteri, in quanto i livelli di umidità del caffè verde previsti dal DPR 16 febbraio 1973 n 470 conferiscono una certa stabilità dal punto di vista microbiologico e le caratteristiche chimico-fisiche del prodotto finito lo rendono un substrato poco idoneo allo sviluppo microbico.
Tra i fattori di contaminazione chimica invece si annoverano micotossine, fitofarmaci / antiparassitari e metalli pesanti. L’unico modo per ridurre il rischio legato alle micotossine è un controllo accurato dei fornitori di caffè verde e un monitoraggio delle condizioni igieniche di stoccaggio.
Infine il rischio particellare, derivante da frammenti di metallo, legno, vetro o fibre sintetiche, è invece più significativo nella fase di confezionamento.
Nella sezione del Manuale riguardante l’identificazione del rischio e l’analisi dei pericoli, le fasi che vengono esaminate sono: il ricevimento della materia prima, il suo stoccaggio, lo stoccaggio del caffè tostato in grani, la macinazione, lo stoccaggio del caffè macinato, lo stoccaggio degli imballi, il confezionamento e l’immagazzinamento del prodotto confezionato. Da questa analisi è ovviamente esclusa la fase di tostatura, in quanto non comporta rischi particolarmente significativi per il consumatore.
Per i requisiti strutturali specifici delle aziende di produzione e confezionamento del caffè si consiglia di consultare il Manuale on-line scaricabile dal portale del Ministero della salute
Dott.ssa Isabella De Vita
Consulente HACCP Roma 14 ottobre 2013
Associazione Italiana Consulenti di Igiene Alimentare