Etossichina: da fitosanitario a contaminante chimico?
Il sistema HACCP nasce come sistema a carattere preventivo. Valutando i rischi legati alla produzione e al commercio degli alimenti, infatti, opera per la tutela della salute del consumatore finale. A questo scopo, nel corso degli anni, vengono rivalutate gli effetti di molecole, coadiuvanti e conservanti utilizzati nelle fasi di produzione. Prendiamo ad esempio il caso dell’etossichina.
L’etossichina è un composto chimico affine alla chinolina che presenta diverse proprietà utilizzabili principalmente nel commercio della frutta, e per questo sfruttato come prodotto fitosanitario. La principale proprietà dell’etossichina è quella di essere un ottimo antiossidante e, in secondo luogo, di avere anche attività fungicida.
Questo gli permette di essere utilizzato come conservante. Si è incrementato poi il suo utilizzo principalmente nelle operazioni post-raccolto delle pomacee: frutti come mele e pere in prevalenza. Il suo effetto su questi frutti, una volta colti, è quello infatti di evitare la cosiddetta fase di “riscaldo” del prodotto. Per questo l’etossichina ha preso piede come perfetto fitofarmaco conservante “anti-riscaldo”. E’ in grado di rallentare la produzione di calore superficiale, tipico della frutta fresca, successivo alla raccolta, allungando cosi i tempi di conservazione di questi prodotti. Ha trovato infatti largo impiego nella frigoconservazione di questi frutti contrastando il riscaldo molle, soprattutto nei raccolti di pere, in cui questo tipo di alterazione causa scarti di prodotto fino al 60%.
Fino al 2011 si è fatto largo impiego di questa sostanza in quasi tutti i Paesi del mondo, ma da questa data in poi sono cambiate alcune cose. Risale infatti al 3 marzo del 2011 la revoca dell’Unione Europea per l’utilizzo di questa sostanza in gran parte degli Stati Membri, ed in Italia tale revoca si è concretizzata nell’agosto del 2012 con l’autorizzazione a smaltire tutti i prodotti trattati entro gennaio 2013, per poi bloccarne l’utilizzo. Il motivo di tale mobilitazione proviene dal programma di revisione continua delle sostanze attive contenute nei prodotti fitosanitari (come da Direttiva 91/414/CEE).
Durante l’ultima revisione è infatti emerso che non è possibile escludere totalmente la pericolosità di questa sostanza per l’uomo, ne per il consumo dell’etossichina in se e per se ne dei suoi metaboliti e/o impurezze derivate. Queste nuove valutazioni, in associazione al principio di precauzione su cui si basa l’intero sistema di salvaguardia della salute del consumatore ma anche dell’operatore, hanno portato al provvedimento del 2011 che però inizialmente non prevedeva l’estensione del divieto alle pere. Per ottenere la riduzione dei livelli di etossichina anche in questo tipo di frutto bisogna infatti attendere il Regolamento UE n. 703/2014 in cui i limiti minimi sono stati portati alla soglia minima di 0,05 mg/kg.
Per avere un quadro completo della problematica c’è però da prendere in considerazione anche la posizione degli altri Paesi in materia di etossichina. I provvedimenti finora emanati infatti riguardano l’Unione Europea, negli Stati Uniti, per esempio, l’utilizzo dell’etossichina non è limitato; ma anche all’interno della stessa Unione Europea ci sono visioni e approcci diversi al problema. Paesi come la Spagna ed il Portogallo, ad esempio, hanno ottenuto proroghe importanti per l’uso di questa sostanza. Questo significa che la Spagna può ancora utilizzare la sostanza in questione, sia nella produzione e nel commercio locale nazionale che in quello di esportazione verso altri Paesi, come l’Italia.
Questo apre la strada a due tipi di riflessioni, come suggerito dalla Coldiretti. Da una parte, questa disparità di trattamento del problema tra Stati membri diversi, desta preoccupazione per la tutela della salute del consumatore finale italiano, che torna a trovarsi tra i banchi del mercato frutta trattata con etossichina; e dall’altra, come se non bastasse, favorisce una concorrenza sleale per le imprese italiane che si trovano facilmente tagliate fuori da questa fetta di commercio, soprattutto se si pensa che dalla Spagna arrivano in Italia circa 22 milioni di chili di pere trattate con etossichina.
Da questa panoramica diventa quindi chiaro come ci sia bisogno di un percorso comune tra tutti gli Stati, di un innalzamento dei controlli e dei requisiti base per l’ingresso in Italia di certi prodotti e di un incremento nella ricerca di metodi alternativi per sostituire l’etossichina con un sistema che garantisca una efficacia analoga ma con meno rischi.
Dott.ssa Federica Tavassi
Roma 13 ottobre 2014
Associazione Italiana Consulenti di Igiene Alimentare