Vini, solfiti e le indicazioni in etichetta

foto Il Regolamento UE 1169/2011 stabilisce i principi fondamentali per una corretta stesura delle etichette dei prodotti alimentari, comprese le bevande. Nell’articolo 9, infatti, vengono elencate le indicazioni che obbligatoriamente devono essere riportate nelle etichette degli alimenti. Tra queste vengono indicate anche le indicazioni per le bevande contenenti più di 1,2 % di alcol in volume. Per questo tipo di bevande è, infatti, obbligatorio segnalare in etichetta il titolo alcolometrico volumico effettivo. L’allegato XII del Reg. UE 1169/2011 da le indicazioni specifiche su come esporre correttamente questa informazione. Ad esempio, il contenuto alcolico superiore all’1,2 % in volume deve essere indicato da una cifra con non più di un decimale, deve essere seguita dal simbolo «% vol.» e può essere preceduta dal termine «alcol» o dall’abbreviazione «alc.». Nonostante di primo acchito non sembri così complesso redigere una etichetta corretta per un vino,è necessario porre attenzione ad alcuni aspetti che possono nascondere delle insidie!

Tra questi, un aspetto che interessa molti (produttori, consumatori, appassionati e “addetti ai lavori”), e che è legato sia all’etichettatura del vino che alla qualità vera e propria del prodotto, è quello dei solfiti e della loro indicazione. E’ infatti un argomento che, pur stando a cuore a molti, ancora presenta molti dubbi e incertezze che effettivamente il Regolamento UE 1169/2011 non va a chiarire troppo nel dettaglio.

Capiamo innanzitutto cosa sono i solfiti. Sono molecole composte da zolfo e ossigeno legati ad altri atomi in modo da comporre molecole come l’anidride solforosa (SO2) o il bisolfito di sodio (NaHSO3) o ancora il solfito di potassio o il solfito di calcio. Questi sono composti che, come l’anidride solforosa ad esempio, sono normalmente presenti in natura e che per alcune tipiche caratteristiche hanno trovato largo impiego nell’industria alimentare come conservanti e antiossidanti.

Il Reg. UE 1169/2011 inserisce l’anidride solforosa (SO2) e i solfiti nell’allegato II delle “Sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranze”, dando però come limite concentrazioni superiori a 10 mg/kg o 10 mg/litro in termini di SO2 totale. In quanto sostanze che provocano allergie la loro presenza deve quindi essere indicata in etichetta, se da analisi del prodotto risultano essere presenti in quantità superiori a quelle appena indicate.

L’anidride solforosa può però prodursi anche naturalmente nei processi di fermentazione ad opera dei lieviti sulle bucce dell’uva e può raggiungere una quantità anche superiore ai 40 mg/l, ma nella produzione di vini esiste anche la possibilità di utilizzare alcuni solfiti in diversi momenti della produzione con differenti scopi, oltre quelli che appunto possono prodursi spontaneamente. Ad esempio, quando i grappoli arrivano in cantina la solfitazione evita l’ossidazione del succo, limita lo sviluppo di batteri e consente ai lieviti di avviare e portare a termine una corretta fermentazione; nella vinificazione dei rossi, contribuisce ad estrarre il colore dalle vinacce nel corso della macerazione e stabilizzarlo nel tempo. Finita la fermentazione l’anidride solforosa può essere usata per conservare il vino, per limitarne l’ossidazione e per rendere più limpido il mosto. L’utilizzo dei solfiti è quindi sfruttata nell’azienda vinicola per stabilizzare le produzioni di vino, in modo da limitare la modificazione eccessiva dei sapori e dei profumi originari. Sta diventando sempre più comune, però, la tendenza di limitare il più possibile l’aggiunta di solfiti, cercando di aumentare invece la cura delle piante in modo da ottenere uve più sane, aumentando l’igiene delle coltivazioni e delle lavorazioni in modo da evitare il proliferare di batteri, controllando in maniera serrata i tempi e le temperature così da ottenere la fermentazione voluta senza ricorrere all’additivo. Una produzione di questo tipo, molto più controllata ed avanzata, quindi tende ad esaltare il proprio lavoro anche in etichetta, evidenziando quindi l’assenza di solfiti aggiunti. A tal proposito però si è generato un po’ di confusione. La dicitura in etichetta “senza solfiti aggiunti” viene infatti recentemente definita come una indicazione volontaria, che quindi non deve trarre in inganno il consumatore in alcuna maniera. Come indicazione volontaria infatti anche questa fa riferimento all’articolo 36 del Reg. UE 1169/2011 ed in quanto tale, oltre a non indurre in errore il consumatore, non deve neanche essere ambigua e, nel caso, deve essere basate su prove scientifiche pertinenti. In ultimo, si evince quindi che un indicazione volontaria del tipo “senza solfiti aggiunti” non deve essere assolutamente confusa con l’indicazione “contiene solfiti”, attinente invece all’informativa in merito agli allergeni che il Reg. UE 1169/11 impone.

Dott.ssa Federica Tavassi
Associazione Italiana Consulenti di Igiene Alimentare

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