La pastorizzazione: un processo di risanamento molto diffuso che si basa su un trattamento termico. Scopriamo insieme come e con quali alimenti può essere usata

Quando si nomina la pastorizzazione, l’alimento che viene subito in mente è il latte, ma stranamente non è stato il primo a cui questo processo è stato applicato. Come tutti sanno, il termine “pastorizzazione” deriva dal suo scopritore, il chimico francese Louis Pasteur, che intorno al 1860 confutò la teoria della generazione spontanea eseguendo esperimenti…. sul vino! Tali studi permisero alla Francia di trasportare il vino scaldato per pochi minuti a 60°C con lunghi viaggi in nave senza che questo si inacidisse, poiché il trattamento termico ne bloccava la fermentazione.

Il primo scienziato ad applicare la pastorizzazione al latte fu il chimico tedesco Franz von Soxhlet nel 1886. Nel giro di un anno la mortalità infantile si dimezzò spingendo molti altri paesi occidentali a renderla obbligatoria. In Italia la pastorizzazione del latte venne introdotta nel 1929.

Il processo si basa sull’utilizzo di scambiatori di calore che possono essere a piastre o tubolari. Il liquido da trattare viene fatto scorrere in direzione opposta a quella di un altro fluido che viene riscaldato alla temperatura necessaria a realizzare lo scambio termico. Una volta uscito dal circuito il liquido viene raffreddato immediatamente in modo da bloccare temporaneamente lo sviluppo dei microrganismi sopravvissuti al trattamento.

I tempi, ma soprattutto le temperature di applicazione, variano a seconda dei liquidi che devono essere trattati. Vino e birra sono sottoposti a pastorizzazione a basse temperature (60°-65°C) per tempi relativamente lunghi, cioè circa 30 minuti. Il latte, prodotto a bassa acidità, che una volta era trattato ad alte temperature (70°-75°C) per 2-3 minuti, ora viene trattato a Temperature superiori (80°-85°C) per tempi brevissimi (15-20 secondi). Questa modalità rapida è detta HTST (High Temperature Short Time) e permette la distruzione di patogeni quali colibatteri, brucelle, Listeria monocytogenes, micobatteri e gli agenti del tifo.

Il lato positivo del processo di pastorizzazione è di riuscire a mantenere inalterate la maggior parte delle proprietà dei liquidi trattati poiché il periodo di tempo in cui vengono raggiunte le temperature elevate è relativamente breve da non influenzare la struttura delle proteine degli alimenti.

Il lato negativo invece risiede nel fatto che la pastorizzazione oltre ai batteri patogeni, uccide anche i batteri utili come il Lactobacillus acidophilus, produttore di batteriocine che conferiscono al latte proprietà disinfettanti. Questo consente lo sviluppo di batteri nocivi più rapidamente e implica la conservazione del prodotto in frigorifero.

Dott.ssa Isabella De Vita
Roma, 20 gennaio 2014
Associazione Italiana Consulenti di Igiene Alimentare

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