Derattizzazione: ecco come viene effettuata e quali sono i prodotti maggiormente utilizzati

foto La lotta agli infestanti è una sezione imprescindibile di ogni manuale HACCP in quanto tutti gli animali che entrano in contatto con le derrate mettono a repentaglio la sicurezza alimentare alla base di ciascun piano di autocontrollo, essendo portatori di svariate patologie. Topi e ratti in particolare possono provocare danni economici e sanitari davvero ingenti, se non si previene la loro diffusione con strategie adeguate. Nell’antico Egitto si sa erano i gatti a provvedere al controllo dei roditori, ma al giorno d’oggi esistono metodi più mirati e sensibili.

I roditori solitamente si distribuiscono in aree delimitate, in gruppi costituiti da poche famiglie. Ogni nucleo occupa un sistema di cunicoli e tane intercomunicanti e presenta un capo dominante. Ratti e topi sono neofobici, cioè manifestano diffidenza nei confronti di oggetti e situazioni che non hanno mai visto, per questo per contrastare la loro diffusione è necessario mettere in atto delle vere e proprie strategie.

A seconda del tipo di roditore e dell’ambiente in cui si deve operare, i metodi di lotta cambiano.

All’interno dei locali in cui si lavorano o si stoccano gli alimenti ad esempio, si possono utilizzare solo trappole a cattura, meccaniche o a colla. E’ proibito l’uso dei rodenticidi poiché non agendo immediatamente lasciano l’animale libero di muoversi e di morire eventualmente in prossimità delle derrate.

Fino a 5 anni fa era consentito l’uso dei rodenticidi acuti e sub acuti, ma dal 2010 la Comunità Europea ne ha vietato la commercializzazione. La pericolosità di questi veleni risiede nella loro rapidità d’azione (da un’ora a 24 ore dall’ingestione) e dall’assenza di antidoti in caso di assunzione accidentale. Alcuni provocano la morte per assideramento in seguito a un rallentamento dei processi metabolici; altri agiscono da vasocostrittori o aumentando la permeabilità dei capillari polmonari con conseguenti edemi e difficoltà respiratorie; altri ancora infine provocano convulsioni e paralisi.

Attualmente i rodenticidi più usati sono i cosiddetti “rodenticidi cronici” a base di anticoagulanti, di prima e di seconda generazione efficaci rispettivamente in dosi multiple e in un’unica somministrazione. Sebbene abbiano composizioni chimiche differenti interferiscono tutti con la sintesi della vitamina K, indispensabile nel processo di coagulazione.

Solitamente i primi segni clinici si manifestano intorno a 1-5 giorni dall’ingestione, mentre la morte dopo 3-5 giorni. Questa comparsa dei sintomi così lontana dall’assunzione delle esche impedisce al roditore di associare direttamente l’ingestione al malessere e quindi continua a mangiarne mettendo da parte la sua naturale diffidenza.

Il problema principale dell’uso di anticoagulanti risiede nello sviluppo di popolazioni resistenti, soprattutto nel caso degli anticoagulanti di prima generazione. Per arginare l’insorgenza di tali ceppi resistenti alcuni di essi sono stati addizionati con un antibiotico che elimina la flora batterica intestinale responsabile della sintesi della vitamina K.

foto Sono stati sintetizzati anticoagulanti di seconda generazione, quali il Brodifacoum o il Flocoumafen, verso cui non sono ancora stati registrati fenomeni di resistenza. Purtroppo questi principi attivi sono molto tossici anche per gli animali non bersaglio, come ad esempio cani o gatti, necessitando quindi un’attenzione maggiore nel loro utilizzo.

Il trattamento di derattizzazione attraverso anticoagulanti solitamente si realizza ricorrendo alle basi di adescamento. Questo permette di guadagnare la fiducia della popolazione infestante e di verificare il potenziale consumo di esca prima della collocazione del rodenticida. Non appena i roditori ritengono le basi un posto sicuro, si procede al posizionamento delle esche tossiche.

Le cause più frequenti di insuccesso nei trattamenti di derattizzazione sono : un’errata collocazione delle esche; la diffidenza naturale dei roditori verso le novità (neofobia); il trasporto delle esche lontano dalle postazioni senza che esse vengano consumate; la presenza di altri animali che assumono il veleno al posto dei roditori o la presenza di individui resistenti.

Dott.ssa Isabella De Vita
Roma 31 gennaio 2015
Associazione Italiana Consulenti di Igiene Alimentare

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